Dieci anni spettacolari! (puntata 3): TRA PALCO E REALTA’

2001-2011: compio dieci anni da attore di teatro.  In un paio di puntate vi racconto come è iniziata, come è andata. Nomi, cognomi, esperienze, retroscena, fatti e misfatti senza peli sulla lingua.

SEGUE... [qui la prima puntata e qui la seconda]

Ecco che inizia la gavetta (no, la foto sopra non c’entra nulla, lo so), quella seria, quella tosta, quella da ricordare col sorriso dopo dieci anni. Inizia con uno spettacolo per la Compagnia Teatro Santa Lucia, poche settimane dopo quel “Pinocchio” che terrorizzò metà uditorio. L’occasione venne con “L’isola che non c’è”, uno spettacolino sociale ‘na cazzata che mi proposero così su due piedi, e io mi sentivo tanto una stella nascente che aveva un’altra occasione fondamentale per la sua carriera. Il “regista” era un ragazzo balbuziente pieno di sputacchi più che di genio creativo. Il testo era una cazzata, il resto del cast un gruppo di ragazzini e ragazzine dell’oratorio. Io ero “l’emigrato africano” e affrontai la parte come se fosse tutto. Credo che questa sia stata la mia unica e sola qualità da sempre: metterci tutto me stesso anche in una cosetta piccola piccola, considerando tutte le esperienze come fondamentali.

Continuavo a fare l’aiuto regista per Teatro Studio, ma fioccavano anche le richieste come attore. Ecco che una compagnia isolana mi propone un paio di spettacoli a tema religioso. Io sempre eccitatissimo mi preparo al meglio, prendo autobus e viaggio a piedi pur di arrivare a teatro in orario e resto basito dall’approssimazione, dalla superficialità e dal ritardo che i padroni di casa mettono nell’affrontare il lavoro. È imbarazzante, soprattutto ora alla luce di dieci anni di esperienze, quel modo di fare teatro. Un covo familiare di gente che fa compagnia da anni ma si odia come fosse ieri. Dispettucci e pochissimo talento artistico. Le parti vengono assegnate in base alle relazioni familiari (i “capi” sono due fratelli) e la protagonista è quasi sempre quella “cagna maledetta” (cit. Boris) della figlia/nipote dei due. Io vengo scelto perché uno dei pochi maschi ventenni in circolazione. Che culo.

Ma io mi dico: sto imparando, imparo cosa non si deve fare.

Poi arriva anche la proposta di un giovane che ha un gruppo teatrale in un paese vicino alla mia città. Allo spettacolo parteciperà anche mia madre, potremo viaggiare insieme. Noi due immersi in una realtà divertente ma assolutamente fuori dall’ambito teatrale. Questo ragazzo ha fatto il DAMS, è pieno di entusiasmo ed energie, ma si circonda di un cast in cui spicca lo zio, poi il farmacista del paese, la contadina e il proprio padre. Tutti ci mettono grande energia, ma il risultato è quello che è. Una robetta. Il ragazzo dl DAMS si perde tra un’insensata regia ambiziosissima (che senza il giusto cast è come avere un paio di pattini su ghiaccio ultimo modello in una pista di ghiaia) e la smania di lucrarci sopra. Una tristezza…

Insomma, le prime esperienze fuori dall’ala protettiva di Parodo sono state utilissime e formative benché affatto brillanti, ma il sottoscritto ha voglia di spiccare il volo e al secondo anno di università, quasi per caso viene a conoscenza della borsa di studio Erasmus e nel settembre 2003 (il 16) vola a Lancaster, in Inghilterra per nove mesi. Lontano dal palcoscenico? Non sia mai.

CONTINUA...

La teoria del cammello

L’impotenza è una condizione terribilmente ingiusta. La cosa non dipende da te e tu puoi devi subire e basta, stare zitto e basta, accettare e basta, elaborare e basta. Ingiusto è un lutto e come un lutto, tutto ciò che subiamo, impotenti, va elaborato: negazione e poi rabbia, poi patteggiamento, depressione e infine accettazione.

Non è una questione di voler enere tutto sotto controllo, il fatto è che subire scelte altrui è come vedere qualcuno morire: non ci puoi fare nulla, puoi solo piangere o incassare dignitosamente, o fare scenate patetiche, o ammazzarti. Ma comunque non risolvi, comunque devi subire e basta, stare zitto e basta, accettare e basta, elaborare e basta. Perché la cosa non cambia, non dipende da te.

Mi è successo. Cristo se mi è successo, così come io ho fatto subire, ora subisco. E non sono quì (né altrove) a fare la vittima. Voglio solo dire che non è giusto. Fa male cazzo, fa male.

Poi vabbè, io sono uno stronzo, anzi lo sembro. Perché pare che tutto mi scivoli addosso anche se in realtà io prendo e metto da parte. Ho subito tanti lutti reali e metaforici e per questo, fin dal primo (quindici anni fa), quando succede qualcosa che mi fa soffrire così tanto, invece che subire e basta, stare zitto e basta, accettare e basta, elaborare e basta, io metto da parte e basta. Come una riserva, come la gobba dei cammelli. Metto lì, e piano piano consumo, ossia me la faccio passare.

A volte ci vogliono giorni, altre volte mesi, alcune cose son lì ancora da anni. Ma non me le porto dietro per sempre, ne morirei come chiunque. Ho sempre detto che non lascio feriti alle mie spalle, la verità è che il ferito sono sempre io e che le persone che entrano a far parte della mia vita non muoiono mai, sono sempre quì: mi hanno aiutato a vivere perciò non riusciranno mai a farmi morire.

REBUILDING AGAIN

Altro. Escape (separare i tag con le virgole)

Deve essere sempre tutto difficile, sennò pare che non vada bene.

Sette anni, di cui 2550 giorni passati a:

litiGare recriminareE accusare difenderepropaganda_mother1

offendere ferire uccidere Morire rInascere

distruggere costruire scopare ridere

PiangEre rompere correRe scappare

sucChiare avvelenare incHiodare scrivere lEggere

strappare caNtare incOllare tagliare stappare

Nascere fermare cucire castrare PUlire

Osservare reprimere pregare godere EStinguere

SEcernere REsuscitare soccombere

vomitare ubriacare TUTTO

sanguinare penetrare EASIER ricordare

ENOUGH OF THAT

Forse ho raggiunto il mio limite, e non ne posso davvero più. Forse non ne vale più la pena. Non lo so. Ho scoperto che sono altro, che la vita può essere altro, che l’amore può essere altro, che l’amicizia può essere altro. Io sono stanco di cose successe una vita fa, in cui la redenzione dei peccati non è mai stata ammessa, in cui l’amnistia è utopia e il coltello quando affonda affonda sempre più giù. Ma poi,    P E R C H E ‘ ? Che senso ha? Ci capisco sempre di meno.

The road to heaven, paved with good intentions

Faber

1999-2009

Ieri ho visto il tributo, a dieci anni dalla sua morte, alla vita di Fabrizio de Andrè. E mi sono emozionato ancora. Mamma mi ha cresciuto a pane e De Andrè, e ancora scopro queste parole, bellissime, vere, che non riesco a credere abbia tutte potuto scrivere una sola persona. Quando incontro sulla mia strada gente come lui, come Oriana Fallaci, come pochi, ma davvero pochi altri, mi senro così piccolo…

Grazie Fabrizio, per quello che continui a rappresentare per me, per tantissimi e per una nazione che tanto ha ancora da imparare. Ha ragione la Littizzetto: Fabrizio non ci ha indicato quanto tempo ci mette il bulbo a far spuntare il fiore e qui in Italia ci stiamo riempiendo di letame.