[seconda parte]
Ho già detto come la penso sui perbenismi e i paraculi in generale? Mi pare di si. Anche se nel giro di un paio di giorni ho dovuto rimandare la pubblicazione di questa seconda parte (preso com’ero dall’evolversi della faccenda Lucido Sottile) questo post è rimasto nella mia mente e anche un po’ nel cuore.
Gli altri…un pubblico ingessato, un pubblico che ci avrei gettato volentieri una bomba in platea, ma non per tutti, solo per la gran parte di persone che si sono sedute lì per provare una finta pietà e versare finte lacrime verso chi faceva lo spettacolo ed era, alla fine dei conti, più sano di loro.
Dovevi vederli: dopobarba dozzinali e profumi da battona, tante belle parole ma sguardi schifati verso i ragazzi della scuola di teatro “Il Mestiere dell’Attore” che interpretavano il ruolo di pazienti psichiatrici prima, durante e dopo lo spettacolo, mettendo in scena ciò che non potevamo far fare a chi è davvero ospite dei centri. E così i signori e le signore che sono arrivati a teatro per mostrare al mondo il loro grande cuore, si sono ritrovati subito immersi in quella realtà che avrebbero preferito vedere solo sul palco e poi basta, invece no. Sono stati scortati fino alle auto dopo lo spettacolo. E una signora ha detto “ma questi li lasciano liberi così?!”. Come fossero bestie.
Non potevamo raccontare tutto, ma ci abbiamo tentato. Più che potevamo abbiamo cercato di non strumentalizzare la patologia dell’attore, abbiamo cercato di proteggerlo da chi doveva a sua volta proteggerlo, ma che s’è perso per strada, forse accecato dalle luci di scena. Perché non può bastare un segno della malattia a fare di un ragazzo un malato da esibire, non possono due occhi a mandorla far sì che un down sia down e basta, non puoi dire che fai teatro integrato e poi non integrare niente.
Ci abbiamo tentato, ci siamo riusciti. Ora si volta pagina.