Baratto 2010

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mercoledì 1 settembre 2010

Arriviamo a Villasor in una calda ma piacevole mattina di primo settembre 2010, carichi di sonno e di bagagli, a scatola chiusa, non sappiamo cosa ci capiterà. È il bello del baratto teatrale: andare a scoprire che sorpresa ti riserva il teatro e l’esperienza di scambio. Il paese è piccolo, sardo, quasi fantasma. Il Castello Siviller domina il centro,ma molto discretamente, poiché non si vede quasi ergersi nella sua maestosità, eleganza, mole indiscutibilmente imponente ma non massiccia.

Le istituzioni hanno accolto senza riserve e con grande disponibilità la nostra proposta di scambio culturale, vogliono che la gente capisca ancor meglio che la cultura è la strada verso il progresso personale e sociale, e pazienza se non sanno chi siamo e cosa faremo, pazienza se la locandina di Cantor Albus vede in primo piano una ragazza dalla pelle candida e nuda con un mazzo di fiori in bocca, pazienza se grazie a questa foto la gente storce il naso e chiede se si tratta di uno spettacolo pornografico, pazienza se i mezzi non sono da grande compagnia di teatro stabile: per loro l’importante è che venerdì 3 settembre al Castello di Villasor ci sia l’opportunità di intrattenimento culturale. Poi è gratis, cosa che ci lascia ovviamente le porte spalancate e che lascia le altrui braccia aperte.

Gli alloggi sono in via Renzo Cocco, a cinquecento metri e un semaforo pedonale di distanza dal Castello, la struttura ospita gli artisti internazionali che la Provincia di Cagliari ospita in occasione di “Ville Matte”, una manifestazione culturale che offre al paese l’ennesima degustazione artistica. L’assessore Concetta Sangermano è una giovane donna piena di voglia di fare, molto concreta e scattante che si lascia spesso superare dai suoi pensieri ancor più scattanti e non fa dei discorsi molto articolati. Quasi balbetta, quasi si blocca ogni parola, come capita a me, quando peso le parole, rifletto sulle conseguenze dei miei discorsi, valuto per la milionesima volta l’idea che concretizzo esponendola, quasi sempre nel momento in cui la comunico a qualcuno l’idea prende un’altra strada, si amplia e il discorso si improvvisa, e parlando a braccio (e al diavolo ciò che in realtà dovevo dire) l’idea esposta è ancor meglio di ciò che doveva essere. Il cervello è in continuo movimento, il discorso perde in carisma, ma è un prezzo che si può pagare dato che poi contano i fatti. Ecco chi è la donna che ci ha detto di si senza batter ciglio.

Il gruppo di lavoro è anche gruppo di convivenza: nulla di nuovo rispetto a ciò che facevano già secoli fa le compagnie di giro, ma stavolta un po’ ci piace pensare che lo sia: non percepiremo un euro da questa cosa, anzi ci tasseremo per mangiare e spostarci, ma il fine è ricevere una paga simbolica che va al di là di ciò che ci può dare il pubblico in termini di sostegno e applausi, il fine è portarsi a casa un’esperienza teatrale importante, uno spettacolo non semplice, un bagaglio utile in futuro.

Siamo cresciuti di parecchio: il nucleo principale era formato da sei persone nel primo Air Can Hurt You del 2008, di queste sei solo quattro (io, Ga, Laura, Giacomo) sono rimaste a lavorare al seguente El Hombre Mas Cercano a Dios, con l’aggiunta (non la sostituzione) di tre nuovi membri (Mauro, Patrizia e Ilenia). A questo sestetto affiatato, quest’anno grazie anche all’onestà del lavoro e all’impegno, al crederci che sta alla base di ogni avventura voluta, altri quattro (Federica, Margherita, Francesco, Silvia) sono stati scelti per unirsi a noi e mettere in scena le mitologie del mondo nell’incontro scontro tra i sessi opposti: Cantor Albus. Scelti perché il gruppo dei “nuovi” era molto più nutrito e la vita (gli impegni, le priorità) e il lavoro sullo spettacolo (il montaggio delle scene è sempre molto crudele, come dice Pierfranco Zappareddu) hanno scremato e ridotto all’osso.

Non siamo un gruppo affiatato, non ci prendiamo per mano e respirando insieme ringraziamo qualche dio di averci fatto incontrare (salvo poi maledirlo quando siamo da soli o al massimo in due), non abbiamo un pensiero comune sul teatro, sulla politica, sull’arte né sul vivere, sul modo di recitare né su niente. Non siamo un gruppo di amici, qualcuno a mala pena lo conosco. E va bene così, questo è anche un lavoro, un lavoro artistico, ma l’Arte non nasce forse dal conflitto? Non trova il suo perché nel fare domande piuttosto che dare risposte? È meglio scoprire e scoprirsi piuttosto che arenarsi nell’aridità del lavoro in famiglia. Mangiamo insieme, dormiamo insieme, viviamo insieme per 72 ore su 72 una volta all’anno, ma restiamo individui che scelgono deliberatamente di creare insieme qualcosa, niente di più.

venerdì 3 settembre 2010

Stasera andremo in scena con o senza la pioggia che minaccia la messa in scena di “Cantor Albus”. Ieri la prova generale è andata bene, lo spettacolo dura 80 minuti, molto intensi sia a livello fisico che emotivo, spero solo che al pubblico arrivi almeno una piccola parte di tutto il nostro lavoro. Un lavoro molto sincero, portiamo in scena l’indispensabile, senza fronzoli o grandi mezzi, Uno spettacolo simbolico per noi e per chi con noi lavora: l’ultimo della trilogia del baratto teatrale insieme a Air Can Hurt You e El Hombre Mas Cercano a Dios. Nel paese non si parla d’altro, prevediamo un grande afflusso, se non altro le aspettative sono alte. In questo momento il cast quasi al completo (altri sono a lavoro quotidiano) sta facendo risveglio muscolare di fronte a me, che per via del ginocchio messo male, non partecipo al training fisico per evitare incidenti di sorta. Siamo già abbastanza compromessi dal punto di vista fisico perché due interpreti hanno malessere fisico, causato dallo stress e dal grande dispiegamento di energie delle generali.

Questa esperienza sta per concludersi, con essa la terza estate di fila nella quale barattiamo le nostre creazioni, nate dall’improvvisazione su tracce ben delineate, con la vita vissuta di chi, ogni anno, senza decisioni prese a tavolino, si unisce a noi in questa convivenza e nella messa in scena. Cantor Albus parla delle mitologie del mondo, dell’incontro/scontro tra i generi, affrontando anche il tema dell’androgino, della lotta tra i sessi, la battaglia antica e moderna dell’uomo contro se stesso allo specchio, scomodando Medea, Antigone, Euridice, Lorelay, Medusa e Belzaiten e anche Narciso, Icaro, Dedalo, Loki e Serpens. Immagini forti, anche dal punto di vista visivo,nudità strazianti, parole pesanti, movimenti dell’ultimo istante di vita.

sabato 4 settembre 2010

È andata.

Baratto 3-Cioè…

Le reazioni al Baratto Teatrale 2009 sono state molteplici (ricordo che è un progetto che nasce senza vincoli economici, c’è solo lo scambio umano, uno scambio di vite umane che anche stavolta è avvenuto): c’è chi ha sentito il bisogno di piangere, chi di ringraziare, chi di offrire la cena, chi di bere vino insieme a noi, chi ha portato regali nottetempo, chi ha detto e ha scritto…

In entrambe le situazioni, c’è la costante meteorologica, che regala tramonti eccezionali, fatti da mille colori e notti da deserto africano. Un altro mondo meraviglioso a un’ora dalla capitale sarda. Un mondo in cui tutti conoscono tutti ma ci si saluta per strada  anche quando  si incrocia sul marciapiede una persona che viene da fuori. Alla macchina si preferisce il cavallo, alla tecnologia la passeggiata in piazzetta, alla nevrosi e alla psicosi moderna un sorriso e qualche sagra paesana dedicata alla bruschetta, alla lumaca, alla buona tavola in generale.

Rispetto al solito spettacolo di piazza, le nostre due serate con due diversi spettacoli sono qualcosa di inaspettato. Il passaparola è un punto a nostro favore, c’è qualcuno che ancora spera che quei due titoli e quelle locandine in realtà nascondano una bella commedia in lingua sarda, ma poi, quando si presentano all’ingresso della location, già capiscono che non vedranno una rappresentazione di mostri sacri (o quasi) del teatro isolano come Antonio Garau, Salvatore Vargiu o Nino Nonnis. E’ una lingua pressoché straniera come i titoli facevano presagire, ma l’individuo non si scompone, sta al gioco delle parti e religiosamente, come un evento della vita, parto, funerale, matrimonio…partecipa al rito. Sembra che il pubblico di Mandas e di Gesico non abbia fatto altro che partecipare a questo genere di spettacoli, si comporta perfino meglio del viziato pubblico metropolitano. E gli spettacoli vengono su da soli.

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Baratto 2- El Hombre Mas Cercano a Dios

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Casa Schirru a Gesico è un esempio di architettura sarda tardo medievale, una volta aperto l’enorme portone di legno ti ritrovi davanti una lunga salita e una casa enorme divisa in due caseggiati. Tutto in pietra antica. Lo squarcio di cielo visto da lì è bellissimo e mentre le due strutture saranno i nostri camerini, il cortile in pietra è la scena in cui si snoderanno le preghiere dei nove personaggi di El Hombre Mas Cercano a Dios.

El Hombre Mas Cercano a Dios comincia ancor prima dell’inizio. un’ora prima partono le telefonate al pubblico, la donna ordina (o supplica?) “Tanz mit mir” (balla con me) e la gente risponde a fatica, “ha sbagliato numero”, “bitte”. Poi arriva oltre quel portone, la vede,  Patrizia Marongiu che torna sulle scene dopo più di vent’anni, velluto nero e telefono in mano, capisce, si siede all’interno della scena perché le sedie sono sparse una per una ad hoc, in modo che la sorte ancora una volta costringa lo spettatore a una visione unica e solitaria della performance. E’ un omaggio a Pina Bausch, Ga’ interpreta la musica principale del Cafè Muller e poi è tutto un corale di Lampade che dialogano, circo-teatro degli orrori, clown deformi alla Cindy Sherman, vita medioevale, laboratori umani, esperimenti scientifici, pioggia artificiale dal cielo che bagna i nove che perdono le energie per davvero ballando e sudando e correndo e soffrendo. E’ uno spettacolo estremo sotto tanti punti di vista, ci sono due testi di Matei Visniec, la clandestina e l’anti-preghiera di Dorra, c’è Santa Elisabetta d’Ungheria, fiore di Turingia, c’è Siddharta. Ci sono 90 minuti di spettacolo (il più impegnativo a livello fisico che abbia mai affrontato) che catturano il pubblico impietrito che alla fine dello spettacolo non si alza dalle sedie. Sta lì, in silenzio, dopo l’applauso, seduto, ognuno per se.

Perché?

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Baratto 1-Air Can Hurt You

IMG_3697Il Convento di San Francesco a Mandas è un gioiello del sedicesimo secolo, rappresentare Air Can Hurt You è un onore oltre che un’occasione perfetta di coniugare arte e architettura. L’aria può fare male, sopratutto se ai soliti trenta gradi che per tutta la settimana ci hanno accompagnato nelle prove delle performances, ci ritroviamo con un discreto maestrale che abbassa la temperatura e accompagna noi interpreti e il pubblico per tutta la durata dello spettacolo.

Air Can Hurt You smista il pubblico in quattro stanze (blù, verde, rossa, gialla), ogni volta si pesca la stanza successiva, cosicchè è il caso che ti sceglie lo spettacolo e tu puoi assistere a tre performance al massimo. VideoArt, Danza, Pittura e Canzone si mischiano al teatro in ognuna di queste stanze, cinque performer si esibiscono in contemporanea più volte, proprio come è accaduto l’anno scorso. A me  e Laura Solla è affidata la stanza de Les Amants Criminels, mentre Ilenia Milagros Cugis interpreta la pittura, Mauro Ferrari è l’angelo che interagisce con Maelstorm e Giacomo Peddis è il danzatore che interpreta Tre Croci di Federigo Tozzi. Dopodichè il pubblico esce dalle cellette del convento e si incontra al centro delli’mmenso chiostro in cui ci sono tavole gigantesche apparecchiate. Arriva Nastasia Filippovna, poi il Rito dell’Acqua, la Danza delle Candele, l’incubo delle Piume Nere e alla fine, la Cena e l’eterna ricerca di Laura. Detto così è tutto, è niente. E’ da vedere: è onesto, pulito, viscerale, è vita.

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settegiorni- 2.

C’è chi avrebbe il fegato chi solamente il cuore, c’è chi alzerebbe il tono della voce per gridare. Anche l’aria può ferire, perché siamo composti di fragilità fantasma, siamo quel che mangiamo e quel che abbandoniamo sulla tavola, sangue d’angelo e piume nere e marce dopo un grido, addormentarsi per non farsi domande, perché non cè una risposta.

Anche in questo caso si deve iniziare per forza dall’amaro? Forse non è il caso, perché alla fine ciò che conta è l’esito finale e alla fine della fiera siamo andati in scena al meglio di noi stessi, regalando e regalandoci energie positive.

Ho lasciato il campo di Jerzu per salire su un trenino verde d’altri tempi e immergermi con il gruppo di lavoro a Mandas e Gesico, due paesini stupendi, gioielli ancora inesplorati, che saranno il luogo in cui il 5 e il 6 settembre porteremo in scena Air Can Hurt You e Requiem Natura. Partiamo con una borsa e una serie di performances che chiamiamo L’Arte come veicolo, insceniamo contemporaneamente in vari posti bellissimi per prendere contatto con l’ambiente e per far prendere all’ambiente contatto con noi.

Facciamo quasi tutti teatro di mestiere, abbiamo tutti la stessa malattia, una malattia che può contagiare chi non ce l’ha e renderlo portatore sano oppure malato terminale, persona destinata a morire e naufragare in preda ai fumi del nonavercapitouncazzo. E’ la vita. E l’arte è spietata perchè non fa vittime. Dicevo, facciamo quasi tutti teatro di mestiere, ma il Baratto non prevede soldi in gioco, solo vite che decidono di dare qualcosa in cambio di altro. E quel qualcosa e quell’altro sono talmente preziosi da non meritare una volgare mercificazione che qualcuno chiama “dare valore e avere rispetto del proprio e dell’altrui lavoro”. Cazzate.

Se i soldi significassero valore e rispetto, l’Arte non esisterebbe, esisterebbe un mercato spietato e arido di prodotti in scatola e basta. Invece l’Arte vera, quella che scuote gli animi, agita le coscienze, muove il mondo, cambia la vita delle persone, è altro. John Lennon (mica mia zia in carriola) diceva che le cose migliori della vita sono gratis. Aveva ragione. Noi del Baratto cerchiamo umilmente, come fecero quelli dell’Odin Teatret ai tempi che furono, di dare pezzi di vita veri per ricevere altri pezzi di vita, tutto qua.

Poi se devo guadagnare faccio altro, e magari non mi metto neanche in gioco così tanto.

Due giorni di fuoco, in cui i paesi ci hanno accolto a braccia aperte e ci aspettano a settembre, scalpitando.