Mi è stato chiesto di scrivere della povertà e della ricchezza come strumento della fede. Lo farò. Per tre edizioni ho studiato e interpretato San Francesco, che ha dato le sue ricchezze per ascendere al cielo e da gennaio interpreto invece San Pietro Nolasco, che contemporaneamente al frate di Assisi, in Spagna, usava il denaro e le sue ricchezze per comprare schiavi cristiani in mano ai musulmani. Tutt’e due ricchi. Tutt’e due mercanti di stoffe. Tutt’e due a contatto con l’islam del ‘200. Tutt’e due santi. Tutt’e due han lasciato il segno.
Mi è stato chiesto di essere meno brillante. Ci tenterò. Una persecuzione. Troppo. Io sono troppo. Quasi fosse un rimprovero, una colpa che ho, mi si dice che devo fare meno, dire meno, produrre meno, essere meno. Ma perché? Considerando il fatto che non credo di essere io troppo, ma piuttosto gli altri troppo poco, vivo due volte la sofferenza: lo sbattimento per correre e le parole di chi non mi riesce a stare dietro.
Mi è stato chiesto di mettere su un laboratorio teatrale dopo tentativi altrui fallimentari. L’ho fatto da cinque anni e ancora lo sto facendo. Un esperimento, un tentativo. Vediamo cosa succede mi ha detto il presidente della compagnia di teatro per la quale lavoro. Di li a due mesi, portando a casa la laurea in Scienze Politiche, ho messo su un laboratorio di una decina di giovani e uno spettacolo, scritto da me e da MrG, “Che fine ha fatto Barbie”, una cosetta carina, dignitosa. E da quel giorno, dopo che abbiamo ipnotizzato trecento persone all’anfiteatro sul lungo mare a Marina Piccola, non ci siamo più fermati. Ho tirato su un sacco di ragazze e ragazzi, gli ho fatto conoscere il “mio” teatro, il mio modo di viverlo e vederlo, una grossissima responsabilità che pesa tantissimo, ma regala, talvolta, bellissime soddisfazioni. A giugno ci sarà l’ennesimo esito scenico che per ora ho chiamato “Una, nessuna o un milione”. E’ una costante palestra anche per me, un laboratorio di esperimenti. Ossigeno.
Mi è stato chiesto di crescere. Ci stiamo lavorando. Non so, forse voglio credere che ho ancora tanta strada da fare nel mondo dei grandi, ma anche qui, nessuno accetta più che io sbagli, chieda aiuto, cerchi il confronto per crescere e farmi uomo. L’emblema di tutto questo è il rapporto coi miei genitori fino a un paio d’anni fa: la pretesa di un figlio adulto e responsabile che a loro piacimento trattavano da ragazzino idiota. Poi ho sbottato. Ho messo sul piatto la mia vita, i successi ottenuti con e senza di loro, gli ho detto che ero innamorato, gli ho detto di chi e quali erano le mie intenzioni, gli ho fatto capire che era diventato un gioco alla pari tra me e loro. E così è. Ma è tremendamente difficile crescere e non sentirti sempre più vicino alla fine. So che non è così, mi han detto che la vita ti tiene sempre sulla corda, ma per me un punto guadagnato significa fine di quella battaglia. E fine non è una parola che mi sconfinfera.
Mi è stato chiesto di andare all’inferno. Sono tornato. Io sono una fenice. A molte persone e a tante situazioni questo mio status non ha fatto comodo. Mi sono comportato molto male nella mia vita, ma anche molto bene, eppure di maledizioni senza perdono me ne sono beccato a fiotti. Eppure le ho sempre digerite, evitate o rilanciate. Mi sono sempre rialzato e ce l’ho sempre fatta. Nonostante tutto e tutti, e ogni volta ero sempre più forte. Si.
Mi è stato chiesto di salvare Atlantide. Ci sto provando.
Mi è stato chiesto di cambiare, ma chi è nato rotondo non muore quadrato. Illusi.
Mi è stato chiesto di essere perfetto. No.
Mi è stato chiesto di amare incondizionatamente. Ni.
Mi è stato chiesto di perdonare. No.
Mi è stato chiesto di essere. Si.
Mi è stato chiesto di me. Eccomi.
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In mezzo a una bolgia divertente c’è quasi un impulso irrefrenabile a raccontarmi cose tremendamente seriose. Perchè? No answer.
Forse ispiro fiducia, mi ha detto Flavia da Nurberg, la Principessa Garnett. La prossima volta farò, seguendo un suo consiglio, spallucce. Poi dirò “Su con la vita” dando una pacchetta sulla spalla altrui e fuggirò. Funziona. L’avrò visto fare a Flavia da Nurberg, la Principessa Garnett, mille volte. Quella ragazza è un piccolo genio. E dire che me ne avevano parlato tutti malissimo… L’acqua cheta distrugge i ponti invece.