Voci in una luce accecante

Scrivevo il 12 novembre 2008 un post (che puoi leggere qui): “Il Ritorno” (era l’originalissimo titolo dato al racconto di me che tornavo da uno spettacolo a Bologna):

[…] Il punto è che a me piace fare teatro, perchè ti conosci e conosci un sacco di cose nuove, entri in contatto con persone (colleghi di lavoro, pubblico e personaggi), tieni la mente allenata alla memoria e ti istriusci sempre di più, impari a controllare le tue emozioni e il tuo corpo, ti fai una cultura non enciclopedica. Il teatro non è (io non voglio che per me sia) ritrovo di un gruppo elitario, fondato sull’opportunismo, il pettegolezzo, i formalismi, cementato da conformismo, chiusura ed esclusione. E purtroppo, anzi per fortuna, accade che quando i punti di vista sono oppposti, gli obiettivi diversi, e i mezzi per raggiungere gli scopi viaggiano su binari paralleli, ci si debba dire addio. Immaginavo, ma spervo di sbagliarmi. […]

Diciamo che questa è una delle poche cose sensate che ho scritto su questo blog e pensato nella mia vita. Diciamo che vale sempre di più. E che “Voci in una luce accecante”(un titolo che si rifà a “Voci nel Buio” e a un racconto di Visniec) è qualcosa che scriverò presto, dedicandola a quei patetici personaggi incontrati facendo questo lavoro. Lunga lista e doverosa autocritica e autoironia (ci mancherebbe).

Saranno parecchi personaggi che descriverò quassù e sicuramente qualcuno storcerà il naso o si offenderà perché ci si riconosce, ma pazienza, non ho la pretesa di piacere alla gente o di giudicare nessuno: lo si fa solo per divertirsi con poco, e poi, scritto da uno il cui blog porta il suo nome… Quindi non rompete le palle, non vi offendete, o dovrò pensare che un po’ di verità le ho scritte.

Avremo tutti i tipi di starlette e divetti, ce ne sono per tutti i gusti: tutti convinti di essere qualcuno, e infatti si, lo sono: qualcuno di cui sparlare.

Perché? Perché no? Io posso non piacere, posso stare sonoramente sulle balle… E mica perchè sono il paladino di sto’cazzo. E’ solo perché sono libero. Non incosciente o particolarmente coraggioso, ma proprio libero. Non faccio parte di una grande compagnia teatrale grande, non sono ingranaggio di grandi macchine, non sgomito, non sono l’amico-l’amante-il parente di nessuno. Questo mi toglie soldi e opportunità (ma i soldi mi piace guadagnarli da me e le opportunità crearmele) e allo stesso tempo mi regala tanto: leggerezza, indipendenza, l’opportunità di mettermi in gioco. E soprattutto onestà intellettuale. Che vuol dire fare una critica, una denuncia (il mio mestiere d’artista lo impone come responsabilità) senza preoccuparmi delle crisi isteriche delle colleghe e dei colleghi, di equilibri pseudpolitici, di entourage che possono implodere. Non ho mai scritto nulla di nessuno per sistemare mie questioni personali. Non me ne frega nulla, non mi sento Rambo, non coltivo livori che irrancidiscono l’ironia, non ho strategie di partito, non ho un disegno sovversivo che miri a sparare miccette sulla scuderia di questo o quell’altro.

E ringrazio l’ignara Selvaggia Lucarelli che mi ha ispirato quest’ultimo paragrafo.